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STUPORE E TREMORI! UMEBOSHI CON INGREDIENTI NOSTRANI

  • chefdulcamara
  • 18 lug 2015
  • Tempo di lettura: 9 min

Oggi mi e vi faccio un regalo, perché le prugne giapponesi sotto sale (umeboshi) sono una vera opera d'arte, meritevole di essere dichiarata patrimonio dell'umanità (e sì, la citazione da Amélie Nothomb era d'obbligo).

Non ce ne vogliano i puristi per aver rivisitato un classico di tale prestigio, ma procurarsi gli ingredienti originali giapponesi è obiettivamente un po' difficile, almeno a questa latitudine (e in più, quasi certamente sarebbero trattate con agenti chimici). In compenso, le nostre fasce tracimano di piccole, deliziose prugne assolutamente perfette per questa ricetta (credetemi). E dunque...

Questo è un progetto a cui lavoro da oltre un anno, e sono davvero felice di condividerlo con voi.

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Per prima cosa ci occorreranno delle prugne appena colorite ma non ancora mature. Scegliete prugne sode, non le susine tonde che sono molli e acquose. Se ne avete la possibilità, usate prugne molto piccole: io utilizzo le prugne note come “arselline”, molto comuni in Liguria, che sono grandi più o meno come una moneta da 50 centesimi. Le cosiddette prugne giapponesi da alcuni sono dette albicocche. La questione è in realtà oziosa perché il susino o pruno, Prunus domestica, e l'albicocco, Prunus armeniaca, sono due specie dello stesso genere, Prunus appunto, e così pure le prugne o albicocche giapponesi che sono una terza specie, Prunus mume.

A parte il sale marino grezzo, l'unico altro ingrediente che utilizzeremo sarà l'acetosa, preferibilmente l'acetosa rossa, al posto della tradizionale perilla o shiso. Questo non perché io non disponga di semi di shiso (che ormai si trovano facilmente su Internet), ma perché lo scorso anno non sono riuscita a seminarli per tempo e alla fine l'acetosa rossa si è rivelata una formidabile sostituta: più facile da reperire e da coltivare, più adatta ai nostri climi... insomma ve la consiglio da ogni punto di vista, salvo se siete dei puristi assoluti, nel qual caso vi consiglio di cercare anche i frutti del Prunus giusto!

L'acetosa è una pianta che cresce spontanea un po' dappertutto nella nostra penisola. Come suggerisce il nome, ha un piacevole sapore asprigno ed è una valida aggiunta alle vostre insalate di misticanza. Ha proprietà depurative e mille usi in erboristeria. È ricca di vitamina C (che la fermentazione conserva intatta) e di ferro, ma anche di ossalati, per cui il consumo crudo dell'acetosa selvatica è consigliabile solo in quantità moderate. Al contrario, si può consumare cotta oppure (come nel nostro caso) fermentata senza alcun limite. L'acetosa coltivata, inoltre, non presenta questo inconveniente poiché il suo tasso di ossalati è più che tollerabile.

L'acetosa rossa (Rumex sanguineus) ha il vantaggio di colorare la nostra preparazione esattamente come lo shiso, rendendola di un rosso violaceo brillante e appetitoso. Io ho acquistato i semi su Internet dal sito di Baker Creek, mio abituale fornitore (sì, è in America ma spedisce in Italia e ha tante bellissime varietà tradizionali di erbe e ortaggi: andate a curiosare anche solo i tipi di basilico!). Una volta che l'avrete seminata, l'acetosa non vi abbandonerà, a differenza dello shiso. Si tratta infatti di una pianta perenne, che si moltiplica facilmente per divisione dei cespi. È rustica e molto decorativa, soprattutto quella rossa che serve per la nostra preparazione. Ellen Ecker Ogden, pioniera della coltivazione di varietà autoctone e autrice del bestseller The Complete Kitchen Garden (un libro splendido se vi piace cucinare e coltivare), sostiene che l'acetosa “vale il suo peso in oro”, e ha ragione! Le foglie hanno un sapore lievemente acidulo (come suggerisce il nome) e sono perfette per insalate miste, frittatine e contorni vari. Buone anche grigliate. Io le utilizzo soprattutto in insalata, abbinate al lattughino da taglio e all'erba stella. Niente ucciderà le vostre piante, né la neve né il caldo, né i bruchi delle nottue (che pure ne sono ghiotti) né l'oidio (che forse è l'unico rischio che corrono, ma si curano facilmente). Sono anche una pianta compagna perfetta per le fragoline di bosco e, data la loro preferenza per un terreno leggermente acido, si possono piantare tutt'attorno a lamponi, uva spina e ribes. Insomma, la pianta perfetta!

Comunque se non riuscite a reperire né l'acetosa né lo shiso, potete provare a sostituire con foglie di ravanello (che conferiranno un pizzichino simile a quello dello shiso, di cui sono parenti) ma non coloreranno la preparazione. Oppure con foglie di barbabietola rossa (l'idea me l'ha data Ada Parisi del blog Siciliani Creativi in Cucina), che coloreranno ma probabilmente non daranno molto sapore.

Ecco i nostri ingredienti, fotografati prima di cominciare.

Andremo quindi a salare e fermentare le prugne assieme all'acetosa, con il procedimento di fermentazione naturale noto come lattofermentazione, caratterizzato da un alto valore probiotico come le altre ricette della categoria “verdure lattofermentate” di questo blog. Per chi fosse nuovo del blog, ricordo che il latte non c'entra nulla, anzi, sono tutte preparazioni vegane! Sono i fermenti a essere “lattofermenti” nel senso che lavorano l'acido lattico.

Le prugne così trattate vengono consumate tradizionalmente a pranzo, cena o anche a colazione (magari qui in Europa è più facile vi venga voglia di consumarle a pranzo o a cena che a colazione), e come accompagnamento al riso e a piatti della tradizione giapponese. Sono anche popolari come stuzzichino nei pub giapponesi (izakaya), dove fungono da “tapas” accompagnate da sake o birra. Ed è questo il mio utilizzo preferito: noi ogni tanto ceniamo con stuzzichini in stile izakaya e una buona birra artigianale di accompagnamento, e le prugne sotto sale hanno un loro degnissimo posto in questo contesto. Volendo azzardare un abbinamento fusion, vi suggerisco di provarle anche con formaggi di media stagionatura, dal gusto rotondo e morbido. Va da sé che un tofu ben stagionato e sapido è “la morte loro” (uno dei nostri stuzzichini izakaya preferiti è proprio il tofu pastellato e fritto).

È difficile descriverne il sapore se non le avete mai assaggiate: diciamo che conservano il profumo caratteristico della frutta, unito a un deciso gusto salato e a una punta di acido. Una bontà simile a quella di un vino di buon corpo o di un aceto di lamponi, per capirci (ma la componente salata può avvicinarsi al piacere di consumare una buona oliva in salamoia, più o meno). Insomma, molti piaceri in uno. L'aceto ottenuto da questa preparazione, poi, è formidabile: ha un colore rosso vivo e un sapore unico.

Chi invece ha dimestichezza con questa preparazione sa che non è difficile reperirla già pronta, ma il costo è a dir poco stratosferico: e giustamente, dato che occorre qualche giorno di fermentazione seguito da una paziente essiccazione dopo la marinatura. Inoltre si dice che le prugne diano il meglio di sé tra il terzo e il quinto anno, e anche la stagionatura ha un suo costo. Essendo questo il mio secondo anno di lavorazione, non posso esprimere un'opinione personale (anche perché le prugne dell'anno scorso sono praticamente finite), ma tutto ciò, ovviamente, contribuisce a farne un prodotto di nicchia se non d'élite, e allora... perché non provare a prepararle in casa? Tanto più che, mentre i frutti di Prunus mume non sono commestibili allo stato naturale e vanno quindi tenuti a bagno per diversi giorni per eliminare il gusto amaro, le nostre prugne già colorite ma ancora sode e non dolci sono già pronte per l'uso. E dunque, non me ne vogliano i puristi, ma mettiamoci al lavoro!

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Ingredienti:

400 g di prugne piccole, appena colorite ma sode, non ancora mature

40-60 g di sale marino integrale grosso

(ai principianti consiglio di usare la dose massima di sale per contrastare la formazione di muffe)

16 foglie di acetosa rossa (o shiso, o ravanello)

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Procedimento:

1/ Sterilizzare il contenitore in cui si andrà a preparare il tutto, usando il metodo che preferite (forno, acqua, ecc.), purché il contenitore sia a temperatura ambiente e ben asciutto al momento dell'uso; consiglio un barattolo di vetro abbastanza capiente e con imboccatura larga (sarà usato solo per la lavorazione, mentre per la conservazione trasferiremo in barattoli più piccoli)

2/ Pulire le prugne, lavarle, togliere il picciolo ed asciugarle molto bene

3/ Passarle brevemente in grappa o vodka per disinfettarle (in Giappone si usa un liquore tradizionale, ma grappa o vodka vanno bene lo stesso), sfregandole bene. Se non volete gettare il liquore dopo l'utilizzo, potete usarlo per cucinare. Questa operazione è semplice, rapida e molto importante per evitare che si formino muffe, le cui spore sono naturalmente presenti sulla buccia della frutta

4/ Prendere ora le foglie di acetosa, pulirle, lavarle, tamponarle bene, tagliarle in tre parti e, utilizzando dei guanti perché tingono, strofinarle con un cucchiaio di sale finché saranno appassite; mettere da parte con il sugo che eventualmente dovesse uscire

5/ Ora disporre uno strato di sale sul fondo del contenitore, alternare con uno strato di prugne e un po' di foglie di acetosa; ripetere fino ad esaurimento degli ingredienti, terminando con il sale e con il sugo estratto dall'acetosa

6/ In cima al barattolo, mettere una griglia di plastica (come quelle che si trovano nei barattoli dei sottaceti) e su questa disporre un peso pari almeno a metà del peso delle prugne, ovvero nel nostro caso almeno 200 g (per esempio un barattolo più piccolo pieno di sassolini o di acqua) in modo da tenere ben premuta la preparazione, che dopo qualche giorno comincerà a trasudare liquido (se ciò non avviene, aumentate il peso)

7/ Coprire con un telo pulito legato sopra l'imboccatura del contenitore (oppure con un coperchio non avvitato, facendo attenzione che il vaso o barattolo non sia troppo pieno, perché la fermentazione tende a far uscire liquido)

8/ Lasciar fermentare, possibilmente al fresco (es. in cantina), controllando ogni giorno (soprattutto che non siano presenti muffe) fin quando le prugne non saranno completamente immerse nel loro liquido (quando saranno immerse non ci sarà più rischio di muffe, a patto che la quantità di sale sia adeguata). Ecco le prugne appena invasettate:

Ed eccole appena 48 ore dopo, completamente immerse nel liquido di fermentazione. Ho rimosso il peso per farvi vedere meglio, ma è meglio conservarlo fin quando anche le foglie non saranno completamente immerse nella salamoia in modo da evitare la formazione di muffe. A questo punto io aspetto ancora almeno qualche giorno perché la fermentazione sia completa (da torbido il liquido deve diventare limpido, come per qualsiasi preparazione lattofermentata). Quindi procedo con la fase successiva.

9/ Una volta ben fermentate e coperte da almeno due dita di liquido, potremo togliere il peso e passare all'essiccatura. Di recente ho acquistato un altro bestseller, Asian Pickles di Karen Solomon, considerato il non plus ultra in materia e sicuramente imprescindibile per chi è interessato al tema, e con mia sorpresa la sua ricetta per le umeboshi non include l'essiccatura – non a caso anche dalla foto che trovate nel libro il prodotto non è lontanamente paragonabile all'originale (mentre ho la presunzione di pensare che il mio lo sia, avendo assaggiato entrambi). L'essiccatura è un pochino laboriosa ma il risultato è fenomenale.

10/ Assicuratevi che ci siano almeno tre giornate di sole consecutive. Quest'anno mi sa che non sarà un problema, ma l'anno scorso (quando, come ricorderete, ha piovuto praticamente ogni giorno, specie qui in Liguria) io sono riuscita a procedere solo a settembre, e cioè ben tre mesi dopo! Ricordate a questo proposito che, come tutti gli alimenti fermentati, le umeboshi andranno conservate in frigorifero o quantomeno in cantina appena terminato il processo di fermentazione. Infatti, trattandosi di un alimento "vivo" (come lo yogurt o la birra non pastorizzata, per intenderci) continuano a fermentare e maturare, ma se fa caldo il processo potrebbe andare troppo avanti. In cantina continueranno a fermentare lentamente e maturare, in frigo la fermentazione arriva quasi ad arrestarsi (io preferisco, una volta trovato il sapore che mi piace).

11/ Estrarre le prugne e le foglie di shiso o acetosa dal liquido (che andrà gelosamente conservato: si tratta del pregiato ume su o aceto di prugne, una delizia) e disporle su una stuoia, oppure in cestini di materiale naturale, al sole per almeno tre giorni consecutivi. Io lo scorso anno ho posizionato una garza sopra il tutto, fermata con mollette da bucato, per scoraggiare eventuali insetti. Ecco come si presentavano le prugne dopo tre giorni al sole, una volta rimossa la garza (l'anno scorso, vi faccio notare, le prugne erano un pochino troppo mature - quest'anno è andata meglio, sono sode al punto giusto e non prevedo che si rompano così):

12/ Dopo tre giorni di essiccazione, le prugne saranno pronte per essere invasettate. Sterilizzate sempre i contenitori e fateli raffreddare chiusi prima di inserire le prugne (che sono un prodotto vivo, come lo yogurt, e quindi non vanno sterilizzate, anche perché se a questo punto non hanno muffe significa che sono sane e ricche di fermenti utili al nostro organismo). Potete invasettare prugne e foglie di acetosa assieme, e utilizzare a parte l'aceto, oppure potete versare sulle prugne l'aceto che avevate messo da parte. Io la seconda, ma a voi la scelta!

Come vi dicevo, si possono far maturare anche per anni a temperatura di cantina. L'anno scorso io ho prodotto un solo vasetto e l'ho conservato in frigorifero. Quest'anno proverò a farne stagionare una parte, ma non so ancora dirvi se ne sarà valsa la pena, ma sospetto che sarà così.

Buoni esperimenti!

 
 
 

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