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GNOCCHI AL PESTO SENZA PATATE E SENZA UOVA? SI PUO'... CON IL LIEVITO MADRE NATURALMENTE!

  • chefdulcamara
  • 6 ago 2014
  • Tempo di lettura: 6 min

Non so come farmi perdonare questa lunga assenza. Ho la scusa, ma solo parziale, del restyling del sito, fuori del mio controllo. Finalmente abbiamo la possibilità di inserire più immagini in un solo post – ora devo lavorare sodo per risistemare quelli passati (e a me, lo confesso, non piace guardare indietro). La ricetta di oggi è semplice semplice, e attende di essere condivisa da oltre un mese. Si parte dall’impasto delle pincinelle che vi ho proposto in precedenza, corretto con un po’ di farina semintegrale e, se volete, un pizzico di farina di castagne. Si formano degli gnocchi, senza patate e senza uova, e si condisce semplicemente con un pesto alla genovese. Vi indicherò le dosi per l’impasto, ma invece di fornirvi una ricetta per il pesto, preferisco condividere alcune riflessioni o consigli pratici più generali, poiché il pesto “alla genovese” non si fa in un modo solo: è anche questione di abitudini, di gusti, di preferenze personali. Ci sono però alcuni elementi storici, che non tutti conoscono, e alcuni principi di base che andrebbero rispettati per un risultato ottimale. Ma cominciamo con gli gnocchi. Come vi dicevo, sono senza uova. Del resto nella mia tradizione di famiglia, da quattro generazioni o forse più, le uova non si sono mai messe, nemmeno in quelli di patate. La particolarità di questi gnocchi è di essere fatti con il lievito madre, che conferisce una morbidezza paragonabile a quella degli gnocchi di patate. Sono ovviamente ideali anche per utilizzare pasta madre in esubero.

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Ingredienti per 4 persone: Per gli gnocchi: 140 g di pasta madre solida o esubero 120 g di farina 2 (semintegrale) bio (oppure farina integrale) 15 g di farina di castagne (oppure altri 20 g di farina 2 o integrale) 70 g circa di acqua 1 pizzico di sale Procedimento: 1/ Sciogliere la pasta madre (o esubero) in 2/3 dell’acqua indicata

2/ Quando è ben sciolta, unire le farine mescolate con il sale e impastare, aggiungendo se occorre altra acqua, fino a ottenere una consistenza elastica ma piuttosto soda (molto diversa dall’impasto morbido e ben idratato del pane: questi gnocchi andranno bolliti e quindi si idrateranno ulteriormente durante la breve cottura)

3/ Avvolgere in cartaforno ben infarinata e riporre per 24 ore in frigo, dentro a un sacchetto da freezer; oppure far riposare sul piano di lavoro a temperatura ambiente per 40 minuti (30 in piena estate)

4/ Tagliare quindi dei pezzetti di impasto con il tarocco e formare dei “serpentelli”; tagliare ogni serpentello a pezzetti lunghi un paio di centimetri e passare i pezzetti sull’apposito attrezzo in legno, oppure sui rebbi di una forchetta, premendo con il pollice per creare la classica fossetta che abbrevierà la cottura, e le righe che accoglieranno al meglio il pesto 5/ Tuffare in acqua sobbollente salata (non a bollore forte perché gli gnocchi sono molto delicati). È consigliabile usare una pentola più larga e più bassa, che consenta agli gnocchi di venire a galla velocemente e facilmente. Come ogni gnocco che si rispetti, anche questi devono cuocere 3 minuti suppergiù e non oltre. Poco tempo dopo che sono venuti a galla andranno scolati, altrimenti si induriscono. Per non rovinarli ci si può aiutare con una schiumarola – ma non sono più delicati di quelli normali di patate, niente paura!

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E ora veniamo al pesto, sul quale vi propongo tre considerazioni, che sono poi anche tre consigli pratici: 1. Il pesto è una salsa a base di olio e aglio. Tutto il resto è opzionale, variabile nel tempo e nello spazio. Qualche anno fa, per ragioni di lavoro, frequentavo una persona che stava conducendo una ricerca storica serissima e molto approfondita sul pesto alla genovese, dalla quale emerse tra l’altro che nei ricettari di oltre cent’anni fa il pesto veniva descritto come una salsa a base d’olio e aglio, con aggiunta di noci o pinoli e di una qualche erba aromatica. Insomma, non necessariamente pinoli e non necessariamente basilico. Del resto, in altre regioni italiane esistono altri pesti, che hanno in comune con quello ligure proprio l’aglio e l’olio. E pure qui in Liguria, mia nonna per esempio, nell’entroterra e al tempo della mia infanzia, quando il basilico “di stufa” cioè di serra era merce rara e soprattutto molto costosa, nelle stagioni più fredde ci metteva un po’ di maggiorana, o addirittura lattuga. Quanto ai pinoli poi, nell’entroterra non se ne parlava proprio: noi utilizzavamo più che altro le noci, ma anche le nocciole – a proposito delle usanze dell’entroterra vi consiglio la visione di questa divertente parodia ideata da Fabrizio Casalino, incentrata proprio sul pesto. E un po’ più seriamente, se avete occasione, potete provare una mia ricetta che su pasta più fine come le fettuccine, utilizza un pesto fatto con maggiorana e nocciole, perché è veramente strepitoso, e assolutamente non meno canonico e non meno ligure del pesto di basilico. Tornando ai ricettari di oltre cent’anni fa, nel pesto secondo i canoni di allora il formaggio non viene nemmeno nominato; quindi la diatriba sul parmigiano versus pecorino non ha ragion d’essere: metteteci quello che vi pare e piace, o anche nessun formaggio, perché nelle ricette antiche non c’è (io personalmente metto a pari merito il pesto della buonanima di mia mamma, con solo parmigiano, e quello di mio suocero, fatto con solo pecorino: squisiti entrambi). Tenete solo presente che con il pecorino verrà fuori un pesto un po’ più scuro. Insomma, per concludere questo primo punto, togliete o cambiate quello che volete, le noci i pinoli il basilico la maggiorana il parmigiano il pecorino, ma per favore, l’aglio e l’olio lasciateli lì dove sono, colonne portanti di questa e altre salse a essa imparentate. Il pesto senz’aglio, piaga che ahimè dilaga nella ristorazione contemporanea, è una moda lanciata da Berlusconi e chiamarlo pesto a mio parere costituisce un’offesa alla tradizione. Tra l’altro, diciamolo, non sa di nulla. 2. Il pesto non nuota né naviga nell’olio; è una salsa densa e soda, che si allunga al momento con l’acqua di cottura della pasta. Uno degli errori più frequenti che osservo tra gli stranieri, ma anche tra i “foresti” [non genovesi, n.d.r.] della nostra ridente penisola, è quello di diluire il pesto con olio – quintali, tonnellate, litri d’olio. A parte l’impennata sia di costi che di calorie, è proprio il gusto della salsa che va a gambe all’aria, perché l’olio (per delicato che sia, e delicato ha da essere) copre gli altri sapori. Il pesto si fa con giusto quel goccio d’olio che serve a poter frullare la salsa, se la fate al mixer; e se lo fate a mortaio vi accorgerete che di olio potete anche non metterne affatto, perché la crema d’aglio e pinoli già avvolge il resto degli ingredienti a meraviglia. Si ottiene così una salsa piuttosto soda, facile da conservare per una settimana o più in un vasetto in frigorifero, o anche per diversi mesi in congelatore, in comode porzioni. Un congruo velo d’olio, nell’uno e nell’altro caso, lo si aggiungerà sopra, per evitare la formazione di muffe nel primo caso e scongiurare l’ossidazione nel secondo. Al momento di utilizzare la salsa, la si metterà in una ciotola e, mentre la pasta cuoce (nel caso dei nostri gnocchi, un tempo brevissimo), preleveremo un paio di cucchiai di acqua di cottura ricca d’amido per diluire alla giusta cremosità la salsa. Va da sé che i “pesti pronti” hanno rovinato la piazza, con la loro cremosità prefabbricata e fasulla. Un peccato davvero. Ma se avete la pazienza di provare a farvelo in casa, seguite queste indicazioni e poi mi saprete dire: molto più gustoso, davvero cremoso e assai più leggero, ve lo garantisco. 3. Infine, il pesto non si deve mai scaldare: il basilico si strina e perde profumo; il formaggio si appiccica a recipienti e posate. Questo è un errore che ho visto commettere anche a persone insospettabili e più genovesi di me, ovvero mettere il pesto sul fondo del recipiente dove si andrà a condire, come si fa con il sugo. Disastro!! Il formaggio si scalda, il pesto si attacca al recipiente e il basilico perde il suo aroma. Il modo migliore di condire la pasta al pesto (parliamo di pasta corta, come questa) è di scolarla e condirla in ciotola con una giusta dose d’olio che ne prevenga l’appiccicatura (a Genova si chiama “grilletto” la ciotola grande per la pasta – voi “foresti” come la chiamate?) Il pesto nel frattempo l’avremo diluito con l’acqua di cottura in una ciotola più piccola, che si farà girare tra i commensali, in modo che la salsa tocchi la pasta quando si è già un pochino raffreddata e non è più fumante. Così si è sempre fatto a casa nostra, e il pesto in questo modo, ve l’assicuro, restituisce tutta la sua fragranza. Provare per credere! Del resto anche la “sposa perfetta” del pesto, le lasagne tradizionali dette “mandilli de sæa” (fazzoletti di seta), devono essere cotte una per una in acqua con un goccio d’olio e condite, sempre una per una, inframezzando il pesto tra una e l’altra, un procedimento che impedisce alla salsa di ricevere un eccesso di calore diretto. Be’, tutto questo scrivere mi ha messo una gran voglia di pasta al pesto... e a voi? Spero che i miei consigli vi siano utili! Vengono da quattro generazioni di donne della mia famiglia e in particolare dalla mia bisnonna Maddalena (“a nonna Manin”), sampierdarenese purosangue, nata subito dopo l’Unità d’Italia, che di cucina ligure se ne intendeva, eccome! Chissà che ne avrebbe detto lei dei miei gnocchi di lievito madre? Mah. Io dico GNAM.

 
 
 

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